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GUIDA TURISTICA

La Pinacoteca

Società per la conservazione delle opere d’arte e dei monumenti in Valsesia: tipica espressione di quell’associativismo ottocentesco che aveva dato vita, anni prima, alla Società d’incoraggiamento allo studio del disegno, questo sodalizio venne fondato nel 1875 da un gruppo di persone che si proponeva di salvaguardare e tutelare i beni artistici presenti in Valsesia, i quali, in molti casi, rischiavano di essere distrutti o dispersi.
Gli obiettivi che la neonata società, eretta a ente morale nel 1915, si prefiggeva, erano di creare un fondo in denaro da utilizzare per il restauro e l’acquisto di opere d’arte e per proteggere le bellezze naturali della Valsesia, di dare vita a una Pinacoteca, dove raccogliere le testimonianze artistiche della valle e farvi confluire gli oggetti donati, acquistati oppure depositati e infine di procedere ad una catalogazione di tutti i monumenti e i manufatti aventi interesse artistico, storico e archeologico, presenti in Valsesia.
Nel 1885 venne istituita la Pinacoteca, che accolse tutto il materiale artistico che, a vario titolo era stato acquistato dalla Società.
Un primo riordinamento delle opere venne eseguito dal pittore Giulio Arienta, il quale nel 1885 redasse il Catalogo degli oggetti d’Arte contenuti nella Pinacoteca di Varallo pubblicato nel 1902.
Negli anni successivi, con l’acquisizione di nuovi locali all’interno del palazzo dei Musei, la Pinacoteca andò ingrandendosi sempre più.
La Pinacoteca varallese possiede una raccolta di notevole valore che spazia dal secolo XV al XX; affreschi o frammenti di essi staccati da edifici per una migliore conservazione, preziose tavole, tele, bronzi, gessi, ecc. e una raffinata collezione di oltre mille disegni e acquerelli.
Allo stato attuale non esiste una pubblicazione recente che possa guidare il visitatore: l’unico catalogo esistente è quello del 1960 (A. M. Brizio – M. Rosci, Pinacoteca di Città di Varallo – 1960). Inoltre recentemente, hanno avuto inizio nuovi lavori di ristrutturazione del palazzo dei Musei per dare un assetto razionale alle importanti collezioni, sia da Museo Calderini sia della Pinacoteca qui conservate.
Il patrimonio della Pinacoteca è costituito da circa 3.300 opere; tra esse figurano testimonianze dell’arte scultorea antica, come ad esempio il raffinato gruppo della Pietra dell’Unzione otto statue colorate, in grandezza naturale, della fine del secolo XV, provenienti dal Sacro Monte, recentemente restaurate. Nelle sale sono esposti anche gli affreschi tardo quattrocenteschi staccati dalle pareti esterne della chiesa di San Marco, raffiguranti episodi della Vita del Santo; un intero salone è dedicato a due grandi artisti: Gaudenzio Ferrari e Antonio d’Enrico, detto Tanzio da Varallo.
Il Tanzio è il maggiore rappresentante della pittura del Seicento in Valsesia, ma il suo ruolo è ormai riconosciuto anche a livello nazionale. La sua vicenda biografica si apre infatti con la notizia di un soggiorno a Roma, dove si recò in occasione del Giubileo del 1600 e dove poté entrare direttamente in contatto con l’arte di Caravaggio e con tutti gli artisti che, in quegli anni, frequentavano la capitale papale.
Al suo rientro in patria ebbe numerose commissioni per parrocchie e per privati, e ben presto collaborò con il fratello Giovanni d’Enrico, scultore e architetto, presso il grande cantiere del Sacro Monte di Varallo. Iniziarono così a prender forma quelle cappelle in cui la pittura ad affresco e la scultura in terracotta si integrano alla perfezione e con assoluto realismo.
Insieme alla ricca collezione di disegni dell’artista, i dipinti custoditi presso la Pinacoteca di Varallo costituiscono senza dubbio il nucleo principale dell’opera del Tanzio, nonché la documentazione più importante della sua carriera. Le opere esposte spaziano dalle due versioni del Davide con la testa di Golia, all’intenso Sant’Antonio da Padova (dietro il quale non è improbabile riconoscere un vero e proprio ritratto), fino alle più importanti opere della attività tarda: la pala con San Rocco (datata 1631) e quella con la Madonna col Bambino e i santi Francesco e Carlo Borromeo.
Negli altri locali sono conservati dipinti di valenti artisti, non solo valsesiani, come Giuseppe Antonio Pianca, Pier Francesco Gianoli, i lombardi Giuseppe e Stefano Danedi, Giulio Cesare Luini, Pier Celestino Gilardi, Carlo Borsetti e molti altri.
A queste opere va aggiunta una raffinata collezione di disegni e bozzetti del Tanzio, del Ferrari, del Cerano, del Morazzone, provenienti per lo più dalla famiglia dei pittori Avondo.
Nel 2004 è stata inaugurata una nuova sezione della Pinacoteca dedicata ad una collezione di maioliche italiane che Luciano Franchi ha deciso di donare in memoria del figlio Francesco.
La donazione di un nucleo di 165 opere fa parte di una più vasta raccolta che ha preso forma dagli anni Settanta ai giorni nostri; i manufatti offrono una panoramica su alcune delle più importanti manifatture italiane dal XIV al XVIII secolo.
La raccolta è esposta in due sale che sono state dotate di un nuovo allestimento progettato dall’architetto Massimo Venegoni; i due ambienti, peraltro mai prima d’ora utilizzati come spazi espositivi, sono stati dedicati interamente alla nuova acquisizione, quasi un vero e proprio “scrigno” atto ad ospitare i pregiati manufatti senza però negare un dialogo con la storia dell’edificio e del suo allestimento museale.
Il nucleo di oggetti più antichi è composto da reperti di ceramica cosiddetta arcaica con forme che derivano da usi quotidiani e presentano poche varianti. La datazione di questo tipo di manufatti oscilla tra la fine del XIII secolo e la metà del XV secolo.
La ceramica graffita, che affonda le proprie radici nel vicino Oriente e si diffuse attraverso la cultura bizantina, costituisce una delle maggiori produzioni ed è qui rappresentata da tre esemplari di straordinaria qualità: il bacile di produzione Toscana della seconda metà del XV secolo, la piccola ciotola con cherubino ed infine il bel piatto con Santa Barbara.
Nel corso del Quattrocento si verificano i maggiori cambiamenti dal punto di vista tecnico e decorativo: sempre più cospicue risultano le influenze orientali e si diffonde l’uso del termine “maiolica” ad indicare le ceramiche smaltate.
Esempio della ricercatezza nella decorazione e nella ricerca espressiva della policromia raggiunti dalle botteghe rinascimentali è il gruppo di oggetti di manifattura faentina, che costituiscono un campione dei decori romagnoli della fine del XV secolo e gli inizi del XVI secolo.

La chiesa di San Carlo fu edificata a partire dal 1770 e subì ampliamenti negli anni Trenta dell’Ottocento. Stando alle numerose testimonianze ottocentesche, vi erano conservate opere di particolare importanza e pregio: un San Carlo “del rinomato pennello del Tanzio”, ed inoltre tele di Bartolomeo Carlo Borsetti e di Melchiorre d’Enrico, tutte in seguito confluite nelle collezioni museali varallesi. Nel 1885, durante le celebrazioni per il centenario gaudenziano, la chiesa venne coinvolta nell’Esposizione Artistica Valsesiana,, grazie alla quale si costituì il nucleo originario della Pinacoteca. L’edificio venne sconsacrato nel 1914 per ospitare i volumi della Biblioteca dell’ex Convento francescano, soppresso quello stesso anno; quando i libri furono spostati nei locali lasciati in eredità da Marietta Farinone Centa, la chiesa fu presa in considerazione come ampliamento ideale della Pinacoteca, previa una sua sistemazione. Ben presto, però, tale spazio espositivo si rivelò inadeguato: l’umidità minacciava la conservazione delle opere e si rese necessario lo sgombero de “l’insalubre ex Chiesa” pochi anni dopo. La decisione di ristrutturare e “riscoprire”la chiesa di San Carlo riqualificandola come spazio espositivo rientra nel più ampio progetto di rivalutazione del Palazzo dei Musei, delle sue sale e dei percorsi di visita proposti all’interno delle stesse.
Le tre opere restaurate costituiscono un’importante testimonianza della vitalità della tradizione artistica valsesiana ed invitano alla riscoperta della valle e della sua ricchezza fatta di storia e di arte.
Il Polittico Scarognino, opera del tardo Quattrocento, proviene dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Varallo, ed è giunto in Pinacoteca nel 1878. Il polittico è stato a più riprese attribuito ad “Anonimo”, ad un generico appartenente alla “Scuola piemontese” o al Giovenone. Negli ultimi tempi, però, per questo capolavoro è andata profilandosi un’attribuzione più coerente e circoscritta: l’autore sarebbe da identificarsi con il cosiddetto “Maestro di Crea”, dal nome del luogo ove è presente una cappella i cui affreschi mostrano una totale coerenza stilistica con l’opera presente in Pinacoteca. Le ipotesi ancora più recenti identificano tale mano con quella di Francesco Spanzotti, fratello del più celebre Giovan Martino. La presenza a Varallo del polittico si spiega analizzando la figura del committente, peraltro raffigurato inginocchiato nella pala stessa. Marco Scarognino era un alto funzionario attivo presso i Marchesi Paleologi, ma di origine varallese; la commissione per l’opera da collocare nella cappella di famiglia nella chiesa del paese natale nasce quindi nell’ambiente a lui familiare, nello stile caratteristico di tale temperie, ma viene poi “esportato” in un contesto completamente diverso. L’opera rappresenta uno splendido esempio di pittura rinascimentale giunto a noi completo della cornice originaria, che peraltro mostra una straordinaria coerenza con la parte pittorica. L’intervento di restauro, particolarmente delicato e complesso, si è svolto in più fasi tra il 1996 ed il 2005.
Di poco successiva è la pala raffigurante San Francesco che riceve le stigmate di Gaudenzio Ferrari. L’opera in origine era collocata presso la cappella di San Francesco, accanto a quella del Santo Sepolcro al Sacro Monte. Gli studi recenti collocano la lunetta del pittore valsesiano nella seconda metà degli anni dieci del Cinquecento. Tale opera testimonia la vitalità del cantiere della “Nuova Gerusalemme” al Sacro Monte di Varallo e della cultura francescana ad esso inscindibilmente legata. Nel 1885 la tavola si trovava nelle sale del Palazzo per la mostra dedicata alle celebrazioni gaudenziane che sancirono la nascita della Pinacoteca stessa. L’intervento di restauro, eseguito tra l’estate 2004 e la primavera successiva ha permesso la riscoperta di alcune peculiarità dell’opera e del metodo di lavoro del pittore, a partire dal disegno preparatorio svelato dalla riflettografia. La cornice originaria è andata perduta; un punto nodale dell’attuale intervento di restauro è stata la realizzazione di una cornice che riproducesse la forma della centina, avvenuta attraverso lo studio delle irregolarità che la battuta della antica cornice aveva causato tra preparazione e pellicola pittorica. E’ stata quindi opportunamente rimossa la cornice ottocentesca che, una volta trattata, sarà conservata all’interno dei depositi della Pinacoteca. Tale cornice, caratterizzata da un gradino all’attacco della centina, alterava in maniera consistente la percezione dell’opera.
Del 1641 è lo Sposalizio della Vergine di Luigi Realis. La collocazione originaria era la chiesa di Santa Marta, edificio non più esistente in quanto abbattuto per motivi legati all’assetto urbanistico cittadino. La chiesa era collocata nelle immediate vicinanze della Collegiata di San Gaudenzio, nel cuore di Varallo, ed era “gestita” dall’omonima confraternita, i cui molti compiti sono raffigurati nelle tele opera del pittore Gianoli, anch’esse presso la Pinacoteca. Il Realis è un pittore di origine fiorentina, ma “errante” in base alle committenze ed alle occasioni lavorative; ad un certo punto della sua carriera egli giunge in Valsesia, attirato dall’attivissimo cantiere del “Sacro Monte”. Egli, stando alle testimonianze coeve, è già rinomato in zona, avendo già lavorato con successo a Domodossola, Ghiffa e Montecrestese. Una volta giunto a Varallo, non rimarrà immune all’influenza dell’opera pittorica del Tanzio. L’intervento di restauro ha contribuito ad una vera e propria riscoperta della cromia e dei diversi elementi dell’opera, tra i quali la data, il nome dell’artista e del committente.
Lo straordinario evento, voluto dalla “Società di Incoraggiamento allo studio del disegno e di Conservazione delle opere d’arte in Valsesia Onlus” e dal Rotary Club Valsesia, da anni impegnato nel recupero del patrimonio monumentale e artistico che più caratterizza il territorio, fa parte di un vasto progetto di valorizzazione delle ricchezze storico-culturali della Pinacoteca.

Collegamenti al Servizio:
Il Palazzo dei Musei






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